La montagna mi sta dando tanto e mi darà molto, ne sono sicuro. Si crea un legame difficile da poter esprimere a parole.
“Alba Imago” mi ha permesso di approfondire il rapporto con la montagna che, soprattutto in inverno, è percepita come spazio naturale per antonomasia. Adi, Tulku, Ciuk e Indi sono i miei cani da slitta Siberian Husky con cui ho vissuto questi dieci giorni di esplorazione in solitaria e autosufficienza. Per questo mi considero privilegiato: tramite l’osservazione e la comprensione dei miei cani imparo sempre più quale sia il mio posto in un contesto naturale, sia esso estremo o quotidiano.

alba imago

Vivere in solitudine nella Natura, tra i 1800 e i 2100 metri di quota, è mettere se stessi a disposizione del luogo in cui ci si trova: per dieci giorni ho dialogato con cime innevate, cieli, notti, albe e tramonti, e ogni elemento che abbiamo trovato lungo il nostro percorso. I cani vigili e presenti, e consapevoli dell’attimo stesso che stavano vivendo. La consapevolezza è certamente una qualità che auspico possa essere raggiunta da chiunque frequenti boschi e monti, laghi, fiumi e mari. La consapevolezza di se stessi nello spazio che ci circonda stimola la coscienza a tornare a percepirne gli elementi e le vibrazioni. È in questo essere consapevoli che si crea il rapporto con la Natura. Eppure, non penso possa definirsi un rapporto basato sulla ricerca di connessione uomo-Natura; non siamo forse iperconnessi alla Natura? La cerchiamo, la bramiamo, la possediamo, la sfruttiamo. Penso, invece, che sia necessario innescare un processo progressivo di disconnessione da essa per poter pienamente tornare ad ascoltarla. L’essere umano può e deve riprendere le distanze dagli spazi naturali per evitare che la Natura si trasformi, come spesso accade, in un semplice palcoscenico per il proprio svago. Un approccio più corretto e consapevole sarebbe invece quello di un rispettoso distacco, mantenendo allo stesso tempo una forte empatia con il contesto naturale in cui si vive. L’iperconnessione alla natura, a cui oggi l’uomo si sta abituando, apre la via ad una presenza umana cospicua e, spesso, inadatta. Perché ogni luogo naturale dovrebbe essere sempre accessibile a tutti a qualsiasi costo? La pretesa è un appannaggio della modernità occidentale. Il desiderio di volerci andare non equivale al diritto di poterci andare, considerando anche l’utilizzo dei mezzi di trasporto: lo spostamento negli spazi naturali in comodità è inversamente proporzionale al concetto di tutela della Natura stessa. Non dobbiamo connetterci con l’ambiente, bensì entrare in comunione con esso. Questo implica condividere realmente sia lo spazio fisico sia l’esperienza emozionale creando un rapporto che divenga vincolo positivo, legame armonico, esattamente come quello che nasce con lo Spirito o con la persona amata: questo è il significato che attribuisco alle parole “comunione con la Natura”.

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Ne consegue necessariamente che lo sfruttamento economico dell’ambiente e, nello specifico, della montagna, non possa trovare spazio nel nuovo equilibrio nascente.  La montagna non è un bene quantificabile e quindi ‘economicizzabile’; si tratta di un soggetto immateriale, il cui valore va al di là della quantità. Dobbiamo tornare ad approcciarci a essa assaporando la qualità dell’istante, insita nella lentezza del tempo scandito dallo scorrere delle stagioni. In questi dieci giorni di esplorazione le giornate che ho vissuto con i cani sono state tutte simili, eppure così estremamente diverse: gesti lenti, semplici, pochi impellenti bisogni, montare e smontare la tenda, il nostro riparo; sciogliere la neve per procurarci l’acqua per scaldare il cibo, godendo di tutto ciò che la montagna stessa ci offriva, comprese le difficoltà dei primi giorni dovute al maltempo.

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Ancora una volta, ho approfondito il senso di un silenzio palpitante di significato: come dimenticare l’emozione di un tramonto dopo la neve e la bufera in vetta? Eravamo soli, la tenda montata da poco e i cani acciambellati che si godevano il riposo. È salito un forte vento, le nubi hanno iniziato a diradarsi ed è apparso l’azzurro solcato da deboli raggi di sole. Intorno a noi, quello che chiamo il ‘dono del bianco’: una distesa di cime e promontori punteggiati da qualche timido abete.

La montagna mi sta dando tanto e tanto continuerà a darmi. “Alba Imago” è terminata, ma come pensare che possa realmente finire se il filo conduttore di questa esplorazione è stato quello della speranza e del sogno? Viviamo in tempi in cui i sogni vengono relegati in soffitta o decretati ad uso esclusivo dei più piccoli; la speranza è letta come una prerogativa smielata di chi poco ha a che fare con la realtà. Ma cos’è l’essere umano se non uno spirito libero che – grazie ai propri sogni e progetti – semina speranza per un presente e un futuro più luminoso? Come una bianca immagine, creata dall’unione potente – anche se apparentemente non permanente – di tanti colori dalle mille sfumature: un’immagine luminosa, perché se non imprimiamo al nostro presente il marchio della speranza sarà impossibile realizzare anche il più piccolo dei cambiamenti.

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Fra Indi

Esploratore e musher, con il suo Adventure Natural Project compie esplorazioni in solitaria in autosufficienza insieme ai propri cani da slitta (Jaranga Siberian Husky Team). Un progetto che ha tra i suoi fini quello di smuovere le coscienze a vivere un rapporto più armonico con la Natura nel quotidiano di ciascuno, senza la velocità e la frenesia dettata dal nostro tempo”; documentare i segnali che la Natura invia riguardo l’emergenza climatica; mostrare come sia possibile valorizzare, ogni giorno, la Natura e di conseguenza tutelarla poiché vivere uno spazio naturale è la prima forma di tutela, qualunque esso sia.

Con i suoi attuali cinque Siberian Husky vive a ridosso di un bosco, sulle Prealpi del confine svizzero.