Nei giorni scorsi è emersa, in modo sempre più evidente, la questione inerente la riapertura dei rifugi e bivacchi sul versante italiano delle Alpi.
Abbiamo deciso di chiedere un’analisi della situazione a Guido Trevisan – ingegnere ambientale e titolare del rifugio Pian dei Fiacconi in Marmolada – che ci ha fornito un punto di vista sulle possibilità di riapertura e, più in generale, sulla situazione attuale.

Lunedì mi ha scritto l’amico Luca:
“Ho letto le tue riflessioni sul panorama ai tempi del coronavirus! Che ne dici di scrivere qualcosa alla luce dell’articolo di Repubblica sui rifugi alpini per l’estate 2020?
(Qui l’articolo https://urly.it/35rkx)

Difficile pensare a un piano operativo per i rifugi a prescindere dal resto e dalle motivazioni che ci portano in montagna.
Perché facciamo i gestori di rifugio? Io perché ho trovato un posto dove vivere in una increspatura di  questa società fatta di brand e di conformità, perché riesco a confrontarmi con le persone che arrivano bevendo un bicchiere di vino, senza pregiudizi culturali, sociali o economici, perché quando esco mi sento vivo e padrone della mia vita ma soprattutto mi sento libero di decidere cosa voglio e chi sono davvero  senza omologazione.

Che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Che montagna vogliamo lasciare? Famiglie che arrivano con la stessa automobile e poi si trovano a tavola separati da un vetro di plastica (a proposito non stavamo combattendo la plastica??!), gite sociali scaglionate per automobile, orari, giorni della settimana? Girotondi dei nostri figli con guanti e mascherina e magari nuovi schiavi con l’igenizzante per pulire dove toccano?
Questa visione del mondo sembrerebbe quantomeno eccessiva invece si sente parlare di questo in tv o sui giornali, sembra che i nostri peggiori incubi si stiano materializzano! No, no, tranquilli, non tutti insieme, un poco per volta così ci abituiamo…
Sono assolutamente contrario: è ora della responsabilità, del rispetto reciproco e dello sfruttamento della tecnologia buona che abbiamo a disposizione.
Penso che dobbiamo domandarci in che direzione vogliamo andare, se dobbiamo pensare ad una società sterile e senza contatti umani o se siamo disposti a un salto culturale. Per far ciò innanzitutto l’opinione pubblica deve indignarsi di fronte a certe proposte.

Siamo in tanti rifugisti e abbiamo un forte impatto mediatico, non sono d’accordo che solo la pagnotta sia importante.
Certo dobbiamo cominciare tutti ad essere più responsabili e non fregarsene degli altri, è ora di finirla che per colpa di pochi paghino tutti, se uno sta male resta a casa e non parlo solo di rifugi, parlo di posti di lavoro, parlo di bambini a scuola imbottiti di tachipirina perché i genitori devono lavorare.
Parlavamo di rifugi, è vero, ma forse è ora di guardare un po’ oltre la propria aiuola.
Potremmo essere un buon punto di partenza, rifugi alpini e avventori potrebbero dare l’esempio di una società responsabile in cui la gente si relazioni in modo consapevole alla nuova sopraggiunta epidemia.
È da un po’ di anni che si sente parlare della perdita di identità di alcuni presidi montani, della loro trasformazione in “ristoranti in quota” con la perdita dei valori della condivisione, dello stare assieme, del silenzio. Potremmo partire da qui per dare l’esempio che un altro mondo è possibile, cominciare dicendo no a camion di guanti e mascherine usa e getta, a nuovi muri di plexiglass e dando l’esempio di una montagna sostenibile e accorta, allo stesso tempo rispettosa delle prescrizioni sanitarie del momento.
Apertura sì ma non a qualsiasi costo, né in termini socio-culturali, né in termini ecologicamente inaccettabili e non sono d’accordo, con le parole di qualche collega disposto a tutto per adeguarsi alle normative al fine di garantire l’apertura.

Ho studiato ingegneria ambientale perché volevo “ridurre l’inquinamento” e l’impatto ambientale dell’uomo nel mondo e alla fine dei miei studi ho capito che ciò che mi hanno insegnato è “inquinare a norma di legge” non ridurre l’inquinamento alla fonte e che lo studio di l’impatto ambientale è un escamotage amministrativo per dire sì o no a seconda del committente.
Gli ingegneri costruiscono ponti che per speculazione edilizia cadono, i chimici studiano nuovi diserbanti che uccidono selettivamente tutto tranne la pianta geneticamente manipolata dalla multinazionale di turno, la medicina insegna a curare i sintomi e non la causa e così tutti in fila per la cardioaspirina per il resto della vita, meglio sorvolare sul binomio big-pharma/politica che meriterebbe un capitolo a parte.
Mi domando allora se le nostre università, i nostri professori, i nostri politici non siano altro che le marionette di un teatro che porta tutti noi, medici, ingegneri, operai, infermieri, gestori, albergatori, psicologi, giornalisti, a essere semplicemente marionette di questo teatrino capitalistico destinato, per sua stessa natura, a collassare su se stesso a meno che non si creino nei consumatori nuove necessità prima inesistenti, poi inutili, poi facoltative e in ultimo indispensabili o – peggio ancora – obbligatorie.
Io lo chiamo dio P.I.L., il dio del capitalismo, siamo passati dall’adorare la natura ad adorare i bigliettoni verdi.
Altro che un nuovo mondo di cooperazione, collaborazione, fratellanza; vedo piuttosto un mondo di individui isolati che guardano dalla finestra alla ricerca delle colpe altrui, la divisione sociale è ciò che ci annienta, un popolo di individui è manipolabile, sottomesso, schiavo, insomma un automa.
Non sto parlando di complotto-virus, sto dicendo che secondo me questo modo di gestire il problema è sbagliato per colpa dei nostri luminari della scienza, dei nostri politici impotenti e per colpa dei media che si autoproclamano “affidabili” e cavalcano l’onda del terrore per fare audience (=pil), è colpa nostra che fradici di paura ci isoliamo comprando scorte alimentari e cercando l’untore nel nostro vicino.

Ci dicono che probabilmente dovremmo abituarci a convivere per sempre con questo/i nuovo virus, come pensiamo di farlo? Visto che per ora è stato fatto così senza neppure chiederlo al parlamento, chiedo ad ognuno di noi come pensa di voler proseguire? E qui ognuno può sbizzarrirsi, io preferisco vivere in maniera responsabile accettando una lenta diffusione del virus senza provvedimenti così drastici.
Come possiamo parlare di mondo migliore, maggior sensibilità verso la natura, verso le cose semplici se nel mondo votiamo gente come Bolsonaro o Trump alla guida del paese, tranquilli noi non siamo migliori e per non parlare dei politici, vi ricordo che invitiamo “scienziati” come Burioni nei talk show di prima serata sul main streaming.
Abbiamo scoperto da Greta il cambiamento climatico, quando gli scienziati (quelli veri) che nessuno ascoltava, ce lo dicono da vent’anni e oggi ci ricordando che la vera emergenza non è il covid 19.
Si sono molto arrabbiato perché vedo arrivare anche nei nostri rifugio questo modello standardizzato alla conquista di nuove terre da occupare.
Con le normative igienico sanitarie si è dato il via ancora una volta a maree di prodotti usa e getta e monoporzione, ora vogliamo introdurre posti a tavola monoporzione con letti monoporzione usa e getta?
È ognuno di noi che deve dire no, ognuno di noi deve prendere coscienza che siamo una grande comunità e che possiamo tutelare le persone più deboli e non per questo lasciarle morire da sole, senza dignità.

Difendiamo la nostra libertà promuovendo dei protocolli comportamentali responsabili: “un buon re da ordini ragionevoli ai suoi sudditi”.(cit. “il piccolo principe”).
Esiste poi il potenziale supporto della tecnologia, mi viene in mente la Sanificazione ad ozono delle camere e dei locali, questo potrebbe essere un approccio eco-compatibile, non usa e getta, che ci potrebbe aiutare per affrontare gli aspetti pratici del problema.
La costruzione di tettoie in legno per predisporre aree coperte all’esterno dei rifugi potrebbe fornire riparo alla gente colta impreparata da un temporale senza dover sovraffollare gli ambienti interni.
Ho letto che le vie possibili sono molteplici, ma ciò che mi preme è pensare a un mondo per i nostri figli, pensare ad un mondo migliore per il 22% della popolazione italiana con meno di 25 anni.

La nostra legittima richiesta a chi ci governa dovrebbe essere di portare il paese nella direzione più aderente al nostro desidero di vivere in un sistema sociale che riteniamo qualitativamente migliore a qualunque quota.
Qualsiasi discussione che non abbia questa priorità credo sia sterile e alimenta solo confusione e divisione.

Possiamo parlare molto delle ipotesi possibili delle proposte ragionevoli, ma ciò che temo accadrà è che verranno applicare da parte delle istituzioni i provvedimenti più stupidi e così, ancora una volta, diventeremo il modello sbagliato da seguire.