Testo e foto di Alba Pérez

Regensburg – Venezia DEU – AUT – SUI – ITA
767 km 4,400 mt 9 giorni

Telaio giallo. Giornate che iniziano alle tre del mattino. Il sole che spacca o il temporale che ci perseguita. Pedalare. Le docce nel lago e le notti nei campi di calcio. Pedalare. La catena che continua a cadere e la posteriore rottura della ruota libera. Spingere. Pedalare. Pacchi che pesano troppo. Materassino e sacco a pelo. Pasta e ceci e minestrine Knorr. Pedalare. Scavalcare autostrade. Salire. Passi alpini. Scendere. Paesaggi che si trasformano. Pianura, montagne, città, fiumi, laghi, mare. Stanchezza. Pedalare. Affinità. Confidenza. Affetto. E occhi che continuano sempre a sorridere.

Unterinntal

Il progetto

Il 29 luglio 2020 siamo partiti da Regensburg con un obbiettivo concreto: Homecoming, Venezia. Pietro avrebbe dovuto lasciare la sua stanza in Germania e noi ci eravamo proposti per accompagnarlo nel viaggio di ritorno. Questa volta, però, in bici. E non solo. Abbiamo deciso di realizzare l’esperienza con il poco che avevamo. Scarso. Semplice. Questo si è tradotto, ad esempio, nell’usare biciclette vecchie, piuttosto non adatte (ma cos’è una bicicletta non adatta?). Sono quasi arrivata ad affezionarmi al mio telaio colore giallo, anni 60 o 70 . La tecnicità del materiale – come si direbbe dalle mie parti – “brillava per la sua assenza” . E ovviamente, anche la scarsità del materiale brillava, nella sua riduzione al massimo per evitare di avere troppo peso. Tanto risparmio che poi abbiamo messo in pacchi di motivazione, chiusi con pazienza e rassegnazione.

Preparativi per la partenza, Regensburg

La fine ve la posso già anticipare: il cinque agosto siamo arrivati a destinazione dopo aver lasciato 767 kilometri, 4400 metri di dislivello e 8 intensi giorni nelle nostre spalle.

Partenza matuttina da Reutte, Austria

Pedalare

Ricordo ancora che quando mi è stato proposto il progetto da Giovanni, ho esitato. Arrangiarsi con poco e soffrire il caldo non mi sembrava un problema. Anzi, meglio così: all’avventura! Abituata alla corda e alla verticalità delle falesie, mi pareva noioso il fatto di rimanere in orizzontale per così tante ore di fila. Un giretto pomeridiano da due orette me lo godo anche, ma salire sulla bici e sapere che il giorno dopo, l’altro, e quello dopo ancora sarei stata su quel sedile, è un’altra storia. Insomma, mi sono chiesta più volte se sarei stata capace di resistere a tutto ciò. E la risposta non mi è stata subito chiara. Nonostante tutto, e non so ancora spiegarmi come mai, sono stata convinta a partire. E se di qualcosa non ho mai sofferto, è di noia. E se qualcosa ho proprio assaporato, è la velocità constante e il semplice andare. Per minuti, per ore, per giorni.

Landeck, ultime pedalate in Austria

Fin da subito mi sono fatta affascinare dal pedalare. Dalla lentezza veloce con cui ci si sposta. Dalla contemplazione dei vasti prati bavaresi. Dagli ingenui scambi di saluti nei paesi alpini. Dal guardarsi attorno, dal guardare avanti – verso dove ci si avvicina – e indietro – verso dove ci si allontana. Dalle conversazioni infinite con i due compagni di viaggio. Dalla confusione nel non riconoscere il momento in cui si è persa di vista la pianura e ci si trova nel cuore delle Alpi. Dai pedali che facevo girare, dalle ruote che seguivano il ritmo e dai paesaggi che prendevano forma attorno a me come in un prassinoscopio.

Viaggiare in bici offre un significato particolare alle distanze. Quando si cammina,  non capita spesso di trovarsi nell’arco di una stessa giornata in due posti completamente diversi. Quando si viaggia a motore, non ci si rende conto dello spazio tra la partenza e la fine. La bici, però, permette di sfregarsi contro ogni metro, di percepire ogni piccolo ostacolo nella strada e di osservare ogni piccolo fiore sul ciglio di questa.

Lago di Resia, aspettando la sistemazione della bici

 

Salite e discese

Se devo esservi sincera, è stata una vera sfida. Prima di tutto contro me stessa, poi contro il calendario e il meteo. In realtà, nemmeno contro. Penso piuttosto che si sia creata una sorta di dialogo con me stessa, nel temporeggiare attraverso i giorni di cui disponevamo e nell’addatarci con pazienza ai temporali.

In discesa, Val Venosta, Italia

Pazienza. Di questa ce n’è voluta. Potevamo aspettarci che qualcosa sarebbe successo visto che la catena della mia bici cadeva in continuazione. Segnali di usura. E infatti la bici ci ha definitivamente abbandonato infilando le marcie basse a Passo Resia. Si è rotta la ruota libera. Eravamo partiti alle quattro dal mattino e dovevamo arrivare al Passo prima di pranzo causa temporale. Penso sia stato uno dei momenti più duri. Spingere la bici con relativi bagagli su per i tornanti è stato faticoso. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Pensavo di non farcela più. Mi sarei fermata. In quel momento avrei tanto voluto avere una bici nuova. Ma il tifo dei compagni mi faceva fare un passo dietro l’altro. Arrendermi non era nei miei piani. Quanto più bello è stato arrivare a Resia con i piedi a terra! Quanto abbiamo riso a trascinarci a vicenda quando la strada spianava un po’! La temuta pioggia ci ha infine raggiunto, ma che sollievo essere al riparo nell’officina del meccanico che ha riparato la bici. Ovviamente la catena è caduta appena siamo usciti dall’officina, ma funzionava. Grazie a lui, che nella pausa pranzo ha cambiato il cambio, abbiamo potuto proseguire.

Scavalcando le rotaie dopo Fussen

Forse vi siete chiesti anche come abbiamo gestito i pernotti. Penso che sia una delle parte più belle del viaggio. Avevamo con noi una tenda, dei matterassini e sacchi a pelo. Arrivati ad Ingolstadt – sul Danubio – abbiamo approfittato dall’ospitalità di amici. Nelle Alpi, non potendo piantare la tenda in montagna, ci è bastato chiedere. Ed è stato così che per la prima volta ho dormito in un campo da calcio nel mezzo della selva bavarese. Anche in quello di un ridente paesino austriaco. O in un giardino privato del Veneto. Mi sono sentita fortunata a trovare delle persone curiose, che, tra una domanda e altra, ci hanno ricevuto a braccia aperte.

Augsburg, campeggio al centro sportivo

Insomma

Dopotutto, non penso sia necessario sottolineare che ci portiamo dietro una manciata piena di emozioni, esperienze e legami. Piuttosto di un’impresa sportiva, è stato il nostro modo di avvicinarsi a noi stessi. Abituata ad un mondo di ritmi frenetici, ne sono uscita con più consapevolezza. Personalmente, posso dire sia stato un viaggio interiore dove ho messo in pausa tutto il resto. Dove ho scoperto nuove sfumature dentro di me. Dove ho sviluppato una sensibilità per tutto quello che è vicino. Dove mi sono interessata a conoscere in profondità il quotidiano che di norma viene ovviato. È di sicuro stato un modo, per noi nuovo, di approciare le distanze. Di rendersi conto di come lo spazio si annulla quando saliamo su un aereo. Di capire quali sono i veri bisogni e di cogliere quello che è superfluo. A me non è mancato nulla. Montagne, affetto, volontà, stanchezza, la doccia nel fiume e un pasto caldo la sera.

Happy me, Imst, Austria

Tautologicamente Venezia