Testo di Giulia Ficicchia

Davanti ad un mondo che sembra assomigliare sempre di più ai film apocalittici degli ultimi anni e non solo, la prima domanda che viene spontanea a chi ne ha a cuore il futuro è: cosa posso fare io? C’è però qualcosa di intrinsecamente sbagliato in questa domanda, a mio avviso, ed è la parola “io”.

Qualche giorno fa sono finita a leggere un articolo del Guardian in cui il professore di ecologia dell’Università di Reading, Tom Oliver, autore del libro “The Self Delusion”, racconta bene il suo punto di vista sullo scegliere l’individualismo come soluzione ai cambiamenti climatici e non solo.

In occasione del suo ritorno a casa per trascorrere il Natale con la famiglia, Oliver ha avuto finalmente il tempo di riflettere sui recenti avvenimenti in Australia e come questi si inseriscano in una lunga lista di eventi catastrofici che stanno colpendo svariate nazioni. Ovviamente la prima cosa che la sua coscienza gli suggerisce è quella di interrogarsi su ciò che potrebbe fare per dare una mano. È una reazione legittima, ma da dove nasce? La supposizione più scontata è che sia un effetto di una società principalmente individualista, dove le parole che più ricorrono sono tutte riferite al nostro ego, eppure molti elementi gli suggeriscono che questo non è l’approccio più corretto al momento che stiamo vivendo. Sono soprattutto i dati a confermare questo suo timore: la percentuale di persone affette da depressione e ansia aumenta, così come il numero di crisi che colpiscono il clima e la biodiversità in tutto il pianeta.

La nostra stessa esistenza nel corso della storia è un’ottima conferma del fatto che forse abbiamo intrapreso la strada sbagliata: da secoli unirci in gruppo ci permette di tutelare la nostra stessa sopravvivenza, così come recenti studi hanno dimostrato che sentirsene parte ci spinge a compiere atti a difesa dell’ambiente.

Non ci sono comportamenti giusti o sbagliati per cercare di fermare un processo che ben presto ci porterà alla distruzione, ma possiamo rivedere il come e soprattutto il con chi. Anche se la società ci spinge a osservare solo lo spazio all’interno dei nostri confini, la prima cosa che possiamo sperimentare è quella di aprirli o delle volte abolirli completamente. Ritroviamoci nei valori che ci accomunano e abbiamo messo in secondo piano, riappropriamoci insieme degli spazi naturali che utilizziamo per le nostre attività outdoor: il sentiero che percorriamo spesso e che vorremmo fosse più pulito non ha bisogno solo di noi, il documentario che abbiamo trovato su YouTube e che mette in luce aspetti di cui vorremmo parlare con altri può essere un’occasione per organizzare una proiezione, una buona alternativa a una pratica che aiuta l’ambiente è un ottimo motivo per riempire le nostre Instagram Stories. È un esperimento che gioverà sia alla nostra salute che a quella del pianeta e inizia con una domanda: cosa possiamo fare INSIEME?