L’idea

Dopo aver girato mezzo mondo, facendo troppe ore di aereo per esplorare qualche terra remota, magari anche sì in tenda e per qualche settimana, ma tornando sempre nel tran tran del quotidiano, è da un paio d’anni che io e la mia compagna Anne-Kathrin abbiamo iniziato a ridurre l’uso dell’aereo: ci siamo trasferiti fuori dalla città, più vicini alle nostre amate Alpi, ed abbiamo cominciato ad esplorare sempre più partendo da casa.

L’ispirazione è stato il progetto Allontanare le Montagne, ideato dal nostro amico Giovanni Montagnani e di cui ho realizzato un documentario nel 2019. L’idea è semplice, classica ma anche innovativa: rinunciare all’aiuto dei mezzi a motore per vivere le proprie avventure. Sia per ridare una dignità alla dimensione delle nostre Alpi, sia per portare un contributo, seppur piccolo, alla riduzione delle emissioni ci CO2 causate dagli spostamenti, soprattutto in aereo.

E proprio dopo questi due anni di scoperta, col colpo di grazia delle forti restrizioni agli spostamenti di quest’anno, che ci siamo sentiti pronti ad organizzare una vera e propria spedizione, ma nelle Alpi, due termini che molto raramente vediamo insieme. L’idea iniziale era di fare da casa nostra (Colazza, in provincia di Novara), una lunga attraversata alpina sino alla vetta del Monte Bianco. Tuttavia non era possibile prenderci così tanto tempo, di fatto dovevamo sfruttare il periodo di ferie estive, come fanno le persone normali, i non professionisti.

 

Il progetto

È a questo punto che abbiamo iniziato a pensare al Monte Rosa. È la montagna che sin da bambino ho potuto ammirare dalle sponde del Lago Maggiore dove sono cresciuto. È da sempre una delle mie montagne guida, ammantato di bianco, colorato all’alba. Le persone lo vivono come un altrove, colmando la distanza che li separa dal suo fondovalle in automobile. È  una profonda separazione, che porta a staccarsi dalla propria casa per vivere là avventure magnifiche, ma lontane, sconnesse.

Da queste considerazioni è nato il nostro progetto, ovvero condensare la nostra esperienza, accumulata in anni di spedizioni extra-europee, spesso in autosufficienza, per completare il Tour del Monte Rosa (TMR), ma partendo da casa a piedi.

Mentre tracciavamo il percorso, ad un certo punto mi sono reso conto che non era nemmeno necessario “riuscire nell’impresa”. Sarebbe stato anche nello spirito delle cose non completare il giro, perché ci eravamo magari fermati un giorno in più in qualche posto bellissimo, o semplicemente perché avremmo potuto essere stanchi. Una grande distanza dall’agonismo o dalla sfida che siamo abituati a leggere sulle testate di montagna.

È  con questo spirito che abbiamo tracciato l’itinerario, che alla fine è risultato di 300km e 15.000m di dislivello positivo, abbiamo caricato gli zaini ben oltre i 15 kg a testa, portandoci la tenda, il fornello, il materiale fotografico e molto da mangiare, partendo letteralmente dalla porta di casa, tifati dagli amici del bar, nel nostro piccolo paese di 400 anime.

 

L’avvicinamento

I primi sei giorni sono stati d’avvicinamento, al TMR. Abbiamo lambito le pendici del Mottarone scendendo poi ad Omegna, imboccato la Valstrona e dormito la prima notte all’aperto, a Luzzogno, dove gli abitanti ci hanno accolto al circolo offrendoci abbondante birra. Dopodiché il secondo giorno abbiamo affrontato una salita estremamente impegnativa per la Valle Ravinella, sbucando sul percorso del GTA, alla Bocchetta dell’usciolo.

Mi ricordo ancora l’emozione di vedere la piana dell’Ossola dall’altro, con le falesie di Colloro e le vette della Val Grande poco dietro, luoghi che solitamente raggiungo in macchina per scalare o fare scialpinismo, ma vedere Anne col suo zainone imboccare il sentiero è stata un’immagine molto significativa del viaggio.

La seconda notte l’abbiamo trascorsa al bivacco Pian del Lago, risvegliandoci in delle nuvole dense. Ma dopo poco il sole ha iniziato a filtrare, ed il terzo giorno ci ha riservato dei panorami veramente spettacolari. Siamo scesi in Val Anzasca attraverso la Segnara, attraversato il paese di Calasca-Castiglione, per poi risalire sino alla Madonna del Sassello. E qui, visto il meteo minaccioso, abbiamo dormito nel sagrato, visitati da curiosi caprioli nel cuore della notte.

Al quarto giorno, durante la salita al Passo del Mottone, ci ha sorpresi un temporale. Onestamente non ho mai visto Anne spingere così tanto, iniziando a tirarmi a 600 metri l’ora nonostante i 15kg di zaino. Tuttavia il temporale era davvero potente, per cui ci siamo rifugiati nella baita aperta del pastore, all’Alpe Cortelancio. Qualche ora, in cui abbiamo inventato la “pasta del pastore”, fino a quando ha smesso di piovere forte, permettendoci di ripartire, scollinare in Val Antrona, e impegnarci in una discesa ravanosa verso il Lago di Campiccioli, dove abbiamo dormito sotto un tavolo di una casa disabitata “tanto sono le 9 di sera, alle 8 del mattino ce ne andiamo, mica arriveranno proprio adesso!”, e con questo pensiero ci siamo addormentati serenamente.

Ma alle 7 ecco apparire un’anziana coppia “chi siete?”. Una veloce spiegazione, un ringraziamento per l’ospitalità inconsapevole, e siamo subito diventati amici di Giorgio e Rosella, che ci hanno invitato per un caffè. “Corretto ragazzi, mi raccomando, che vi scalda i muscoli!”. E in effetti i 1800m di dislivello che ci separavano dal Crest-Bivouac ce li siamo mangiati con allegria.

Che posto il Crest-Bivouac! Un bivacco vecchio stile (tecnicamente a botte, o a scatola di tonno, per gli amici), sopra il Passo di Saas, a 3100m, proprio sulla cresta spartiacque, con un panorama spettacolare sui Michabel. Maestoso vedere di fronte a noi la potenza del Dom e degli altri 4000 del gruppo coi ghiacciai, e dall’altra parte girarci e vedere quel piccolo Mottarone spuntare dalla nebbia, lontanissimo. “Anne, ti rendi conto, siamo partiti da lì?!”.

Nella discesa a Saas-Fee ci ha mosso alla commozione vedere il Furggengletscher completamente sciolto, seppur presente sulla nostra cartina del 2016. Quanto velocemente stanno cambiando le montagne. Sono sempre più spoglie, sempre più deturpate, e noi esseri umani siamo la causa di tutto questo.

Il tour del Monte Rosa

Con questi pensieri nel cuore abbiamo raggiunto Saas Fee, ritrovando la gioia di fronte alla prima indicazione TMR, ovvero Tour del Monte Rosa. Il percorso incognito, tracciato semplicemente sulla mappa per sentieri sconosciuti, era terminato, da qui si prospetta tutta un’altra musica.

A Saas Fee ci siamo concessi il maggior lusso del viaggio, ovvero una notte in albergo. Una doccia, poter lavare i vestiti (che io non avevo mai cambiato) …ci sentivamo di meritarcelo dopo sei giorni di avventura. Il commento di Anne: “la miglior vacanza del mondo!”. La mattina dopo siamo partiti per Grachen, su quello che doveva essere un comodo sentiero, per ritrovarci a camminare 5 ore in una traccia sì larga, ma in perenne esposizione sulla valle 1000m più in basso. Non male come primo giorno del TMR!

Il giorno successivo il sentiero crollato ci ha costretti a scendere al fondovalle di Zermatt, per poi risalire sull’Europaweg con l’immancabile ponte tibetano gremito di turisti. Ma il percorso poco dopo diventa ben meno turistico, di nuovo in grande esposizione, al cospetto dei giganteschi Weisshorn, Zinalrothorn e Bishorn. Un panorama incredibile, che ci accompagna sino alla piccola conca di Tashalp, una perla di resilienza montana, ai piedi dell’Alphubel, dove ci accampiamo per una notte spettacolare.

Da qui è un attimo scendere a Zermatt, per iniziare la risalita verso la Gandegghutte. Quello che vediamo, ogni metro più su, fa impallidire i panorami che abbiamo apprezzato in Cordillera Huayhuash: il bosco lascia posto a verdi pascoli colmi di fioriture, e sullo sfondo un numero impressionante di 4000, tra cui Cervino, le vette del Rosa e la potente bastionata della nord dei Braithorn. Che tristezza pensare che tanti percorrono il TMR saltando questo pezzo, affidandosi invece agli impianti, cosa si perdono!

In qualche ora arriviamo ai 3100m della Gandegghutte, trovandola chiusa. “Ci sarà l’invernale dai”. No, nessun invernale. Poco male, la meteo è spettacolare, gonfiamo i materassini sulla terrazza del rifugio, ci infiliamo nei sacchi a pelo, e passiamo una notte certo non calda, ma sotto un cielo infinito di stelle.

La mattina ci incamminiamo per il Teodulo, attraversando il ghiacciaio morente, costellato di impianti da sci e pregno dell’odore di benzina. Sul lato Italiano l’ambiente è anche peggiore: nonostante il Cervino sullo sfondo, non riusciamo a distogliere lo sguardo da questo deserto deturpato dalle piste da sci, in cui gruppi di motociclisti arrivano coi loro KTM sino ai ghiacciai. Un modo di vivere la montagna così lontano dalla nostra avventura. Per fortuna è un percorso breve, perché arriviamo velocemente al Colle di Cime Bianche scendendo nell’omonimo vallone. Pochi metri e ci ritroviamo in un ambiente incontaminato. Spero vivamente che non venga approvato lo scellerato ampliamento degli impianti in questa valle ancora intatta.

Nel vallone ci corre incontro il mitico Michele Dondi (Michelone), che ci convince a fare un bagno al gelido Torrente Tzere, accompagnandoci poi sino al Rifugio Ferraro, dove ceniamo insieme per poi accordarci con il gentilissimo gestore per piantare la tenda poco lontano dal rifugio, un’ottima abitudine visto i tempi che corrono.

I due giorni successivi scorrono veloci, con la salita al Colle del Rothorn, la discesa a Gressoney e la risalita sulle piste da sci sino al Col d’Olen, per scendere poi nel nostro angolo preferito della Val Sesia: il Vallone d’Otro. Giù, giù, sino ad Alagna, in cui ci infiliamo al Bar delle Guide ordinando troppe miacce.

L’ultima notte prevedevamo di passarla al Rifugio Pastore, con la solita formula cena+tenda. Tuttavia qui troviamo un’accoglienza diversa, con un prezzo folle. Non ci piace chi si approfitta delle situazioni negative, per cui non ci fermiamo, e risaliamo verso il Passo del Turlo, dormendo ben sopra il rifugio vicino a delle baite abbandonate.

Ed eccoci al Passo, 13 giorni dopo essere partiti. Poco sotto anche Giovanni ci corre incontro, poi Elena ed infine Mattia. Una bellissima discesa in Val Quarazza, verso Macugnaga. Gli amici ci festeggiano, la gioia è tantissima, e ce la portiamo sino in paese, 300km lontana dalla nostra porta di casa. Un bacio in piazza, una foto, la didascalia: “Macugnaga. Fine. I 13 giorni più belli della nostra vita.”

Un’ispirazione

Home to Rosa è stata innanzitutto un’avventura per noi. 13 giorni e 300km in cui abbiamo sperimentato ogni emozione e sensazione. Non un’impresa sportiva, infatti siamo ben consci che un atleta potrebbe ridere di fronte ai nostri dislivelli e tempi, però un’esperienza unica e diversa. Unire quell’altrove che sono le alte montagne, i ghiacciai, il Monte Rosa, con la nostra porta di casa, è stato qualcosa di completamente nuovo, che ha fatto collassare il concetto di distanza, facendoci capire quanto tutto sia in realtà legato. Anche da un punto di vista ambientale, perché ancora oggi ci sorprende che proprio chi ama le montagne ed i ghiacciai spesso è tra i negazionisti del cambiamento climatico.

Uno stimolo che vogliamo dare è di provare a vivere la stessa avventura. Non necessariamente il Tour del Monte Rosa partendo da casa, ma un’avventura con lo stesso nostro spirito, scoprendo quanto sia bello collegare gli altrove al luogo in cui si abita.

A breve pubblicherò le fotografie ed un documentario del giro, potete seguirmi su Instagram sotto il nome @mountainscaper