Testo di Francesco Bassetti – Foto drone Kevin Kok

Era fine agosto 2019 e mi trovavo sull’Aletsch, il ghiacciaio più grande delle Alpi, durante una delle estati più calde mai registrate in Europa – la terza negli ultimi 60 anni, per essere precisi. All’alba, ci siamo legati in cordata per attraversare questa distesa interminabile di ghiaccio e raggiungerne il cuore, il Konkordiaplatz, il punto a 2.700 metri in cui convergono quattro ghiacciai formando quello dell’Aletsch.

Tutti i ghiacciai hanno un loro ciclo di vita. Nascono, crescono e possono anche morire. Come qualsiasi cosa che è viva.

Sull’Aletsch, sentendo il fruscio dell’acqua che scorre, il boato dei seracchi che crollano e lo scricchiolare del ghiaccio che si assesta, ci si rende presto conto di quanto questo paesaggio sia in costante mutamento. Di quanto il ghiacciaio sia vivo e allo stesso tempo forte e fragile.

Il ghiacciaio dove ho camminato e che ho ammirato in tutta la sua vastità, è lungo oltre 20 chilometri, profondo fino a 800 metri e grande circa 80 chilometri quadrati. Sembra enorme a dirla così, vero? Eppure sotto ai miei piedi, davanti ai nostri occhi, si sta ritirando. Sta soffrendo, come tutti i ghiacciai del mondo. Il motivo? Il riscaldamento globale. Dal 1870 si è già ritirato di 3 chilometri e potrebbe perdere la metà del suo volume entro il 2100. Questo se – e solo se – riusciamo a mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2 gradi. Altrimenti, se le emissioni di gas serra dovessero continuare ad aumentare senza freno e secondo le tendenze, il ghiacciaio potrebbe scomparire entro fine secolo.

Per questo io, che sono giornalista ambientale, insieme ai miei compagni di cordata – un’altra giornalista, una videomaker e un filmmaker – abbiamo deciso di raccontare le trasformazioni che sta subendo il ghiacciaio dell’Aletsch attraverso un documentario e un reportage pubblicati su LifeGate. Ci sembrava necessario documentare questo cambiamento.

Come i canarini nelle miniere di carbone usati per avvisare i minatori della fuga di gas pericolosi, la ritirata dei ghiacciai è un monito che non possiamo ignorare. Nelle Alpi, dal 1850 il volume di ghiaccio si è dimezzato e il 17 per cento di questo declino è avvenuto solo negli ultimi vent’anni. Si stima che entro il 2050 i ghiacciai alpini sotto i 3.500 metri perderanno le loro aree di accumulo, e che quindi sono destinati a scomparire, mettendo a rischio la sicurezza delle valli sottostanti, le risorse idriche, la produzione idroelettrica, le economie locali legate al turismo e all’agricoltura. E l’equilibrio stesso della natura.

Quella mattina di agosto, mentre cercavamo un passaggio sicuro attraverso il labirinto di ghiaccio che ci circondava, mi sembrava assurdo pensare che un giorno, nemmeno troppo distante, l’Aletsch potrebbe scomparire. Per fortuna, però, c’è ancora speranza, e me lo hanno spiegato le persone impegnate in prima linea nella difesa del ghiacciaio.

Se riusciremo a ridurre drasticamente le emissioni e a limitare il riscaldamento globale, possiamo salvare almeno una parte di questo e tanti altri ghiacciai, salvando così non solo un ambiente che a molti può sembrare lontano, ma salvando anche il nostro futuro.

Il documentario