Testo di Giulia Ficicchia – Foto di Luca Fontana

C’è una storia che vorrei raccontarvi. In realtà non sono la prima a farlo e sicuramente non sarò l’ultima, né sinceramente ero presente. Nonostante la mia timidezza, quando ne ho letto in giro su testate e social media, ho scritto a Giovanni, uno dei quattro protagonisti, e una mattina al telefono mi ha portato con sé nei dettagli di una bellissima avventura. Ma cominciamo dall’inizio.

Giovanni Montagnani e Michele Dondi sono amici già da tempo, uno è ingegnere con un dottorato al Politecnico di Milano e ha fondato il collettivo di divulgazione Crowdforest, l’altro è laureato in matematica e fa l’analista programmatore in ambito finanziario. Quello che forse li unisce di più è la passione per l’ambiente e le attività outdoor e, come molti di noi, frustrati dagli effetti della crisi climatica sul pianeta, decidono di rimboccarsi le maniche. Il primo progetto nasce in occasione della COP25, quella che si sarebbe dovuta tenere a Santiago del Cile, ma che poi si è trasferita a Madrid. L’idea è di montare in sella alle loro mountain bike e raggiungere l’evento, dopo aver macinato diversi chilometri e tanta fatica, ma i corpi di entrambi non sembrano volerne sapere di fare tutta quella strada e la cosa finisce in standby, in attesa del prossimo grande evento incentrato sul clima.

Tutto si rimette infatti in movimento con l’avvicinarsi del nuovo appuntamento del World Economic Forum, che si tiene a Davos, e Giovanni e Michele decidono questa volta di coinvolgere altri due amici: Luca Fontana, fotografo, e Marco Tosi, guida alpina e tecnologo alimentare, anche loro fortemente legati al tema della tutela ambientale. Il progetto è quello di percorrere gli 80 km che li dividono da Davos con gli sci ai piedi, una distanza ben più fattibile di quella della loro prima idea. Dopo aver definito i dettagli e preparato il necessario, non resta che partire: i quattro si ritrovano il 21 Gennaio alla stazione di Busto Arstizio dove prenderanno un treno che li porterà a Sondrio, poi una navetta fino a Chiesa Valmalenco e poi tutta a piedi. Nulla è casuale nel loro viaggio, difatti Giovanni mi svela che Sondrio è stata scelta perchè ben legata all’immagine delle Alpi e soprattutto facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. È chiaro in questi dettagli che la loro vuole essere un’esperienza che avrà un impatto solo sulle loro schiene, dati i 12kg di zaino che ognuno di loro porta con sè.

Ci mettono tre giorni, per la precisione 60 ore: attraversano la Valle del Forno e la Val Suvretta, dormono la prima notte in una grotta e la seconda alla Chamanna Jenatsch (2653m), raggiungono il Piz Lavinier e scendono poi a Preda e Bergün, per risalire un’ultima volta al Piz Ducan e finalmente arrivare a Davos. È sera tardi quando mettono piede nella città svizzera, eppure l’accoglienza non manca e ha il volto di amici e parenti, nonché la forma di un igloo che è stato costruito per loro per passare la notte. Quando Giovanni mi racconta questo particolare, sorrido, ma poi dalle sue parole capisco che c’è un messaggio che va ben oltre il gesto affettuoso delle persone che hanno deciso di supportarli: ad un evento come il World Economic Forum sono invitati solo i potenti o coloro che possono permettersi di pagare migliaia di euro per una camera d’albergo, il resto della popolazione mondiale – in particolare gli attivisti per il clima – non sembra essere preso in considerazione nell’organizzazione. Tutto si manifesta in modo ancora più chiaro il giorno dopo, quando partecipano alla manifestazione organizzata da Fridays for Future, e si ritrovano a sentirsi tanti Davide contro Golia dalle tasche senza fondo.

Ovviamente poi c’è stato un rientro a casa, chi di nuovo con gli sci ai piedi, chi con altro tipo di trasporti, ma lo scopo di questa storia non è quello di raccontare l’avventura in mezzo alla natura di quattro persone, piuttosto di lanciare un messaggio, anzi due.

Per chi pratica attività outdoor, il primo è abbastanza evidente: l’ecosistema alpino è al collasso, stretto sempre di più nella morsa di un’economia del turismo che lo smembra e lo ricompone a suo piacimento, senza avere alcun rispetto per i luoghi e il mondo naturale. Durante il viaggio, è stato quasi uno shock per loro scoprire che esistevano posti in cui gli impianti di risalita sono un miraggio e la comunità alpina sembra essersi conservata perfettamente: Giovanni mi racconta con entusiasmo che i paesi di Preda e Bergun non sono collegati da una strada asfaltata, ma in salita con un trenino rosso e in discesa con una pista da slittino. Per tirarmi su il morale, mi ricorda che comunque anche nel nostro paese ci sono valli che possiamo preservare così come sono sempre state nella zona delle Alpi Retiche e tiro un sospiro di sollievo, sperando di non dover lottare presto anche per loro.

Il secondo messaggio invece è quello che ha pervaso di più la nostra società nell’ultimo periodo: basta al greenwashing, basta incolpare il singolo individuo come unico responsabile della crisi che stiamo vivendo. Davos, secondo Giovanni, è la perfetta dimostrazione di come le cose in realtà non stiano affatto cambiando e come questo evento ben rappresenti l’ipocrisia dei ricchi e potenti, che nonostante dichiarazioni per mezzi stampa, hanno investito in combustibili fossili negli ultimi anni 300 miliardi di dollari per anno. Non c’è nessun governo che dopo giornate come quelle a Davos afferma di voler proporre delle soluzioni pratiche, soluzioni che implichino responsabilità e pianificazione per un futuro che rischiamo di non vedere. Davanti a una situazione del genere, quali scelte vengono messe davanti all’individuo? Solo parole vuote e eventi privi di risultati, mentre il sistema economico mondiale continua a mantenere una rotta che che ci porterà inevitabilmente al collasso ambientale.

Ancora prima di tornare a casa, i quattro protagonisti di questa storia avevano ben chiaro di aver attirato l’attenzione di molti e, nonostante la rabbia e la frustrazione che sembra solo aumentare – soprattutto quando ti ritrovi a superare passi alpini di notte con solo pochi strati di abbigliamento addosso in pieno inverno, questa esperienza è solo la prima di una lunga serie di attività outdoor con le quali amplificare messaggi che abbiamo tutti bisogno di ascoltare.